Mons. Croce ordina al sig. Antonio Canepa di Genova la statua di N. S. della Guardia che dovrà inaugurarsi l’anno venturo, 1919, quando tutti i soldati saranno ritornati in seno alle loro famiglie e ciò per voto fatto dallo stesso Arciprete a nome di tutta la popolazione la quale volle nel 1915 istituire la festa in onore di N. S. della Guardia obbligandosi a riconoscere il giorno 29 agosto di ogni anno come giorno sacro a detta comune madre e poi a celebrare nel mese di settembre una festa solenne che si fissò nella domenica dopo la festa di San Fermo. Tale festa fu sempre preceduta da tre giorni di esercizi spirituali.
La statua di N. S. della Guardia è terminata. Costata lire 3.000 fu pagata con le offerte dei parrocchiani e di qualche benefattore. Fu recata da Genova a Chiavari il 31 agosto sopra un carro dal sig. Carlo Navone di Chiavari ed esposta per otto giorni nella chiesa di San Giacomo di Rupinaro. L’otto settembre tutti i parrocchiani di San Rufino si recarono a Rupinaro per vedere l’immagine e disporsi al trasporto. La statua, benedetta da Mons. Amedeo Casabona, uscì dalla chiesa portata a spalle dai soldati reduci dalla guerra. Tre ore durò la processione da Chiavari a Leivi. Nei giorni 12 – 13 – 14 settembre si celebrò la festa solenne.
Voglio raccontare la storia che si cela dietro la statua della Madonna della Guardia che si trova nella Chiesa di San Rufino. Nel lontano 1919 siamo partiti per recarci a Chiavari nella Chiesa di Rupinaro, dove era esposta la statua prima di essere portata a Leivi. A quei tempi il curato della Chiesa di San Rufino era Giovanni De Vincenti. Nella Chiesa di Rupinaro arrivarono i soldati reduci dalla prima grande guerra mondiale che presero la Madonna e si indirizzarono con la folla verso la destinazione. La processione fu accompagnata dal suono delle campane di altre parrocchie come: Bacezza, San Pietro, Maxena, Sanguineo, San Bartolomeo, Curlo e San Rufino. Il percorso che fecero fino a destinazione fu quello della strada attuale provinciale che allora era solamente una strada di sassi e di polvere. Durante il percorso i soldati si fermarono per riposarsi un po’ di volte. Soprattutto ricordo l’accoglienza che riservarono alcuni contadini, nella località Castagna, ai portatori della statua ai quali offrirono del vino. Dopo questo faticoso e lungo viaggio partito da Rupinaro, arrivammo sulla Crocetta. Qua non ricordo se percorremmo la strada carrabile oppure la deviazione nel sentiero sopra la Crocetta. Verso era arrivammo nella Chiesa di San Rufino dove c’era ad aspettarci Monsignore Giovanni Croce, quest’ultimo benedì la Madonna, i soldati, il popolo ed eseguì un bellissimo discorso. Dopo questo cantammo le Litanie e il Tantum Ergo. Finita la benedizione tornammo a casa, sebbene stanchi, ma soddisfatti. Nel ricordo di questa avventura porgo l’occasione per esporre un mio giudizio: la gioventù del giorno d’oggi non segue più la tradizione di portare la cassa della Madonna, non rispettando quindi il sacrificio dei portatori dell’epoca passata.
Angela Trabucco (1913 – 2009)
GIUSEPPE SOLARI (GEPPUN) “Quando hanno portato la statua a Leivi ricordo che abbiamo seguito l’immagine della Madonna in corteo a piedi. Ero stato accompagnato da mia madre. Alla partenza, a Chiavari, l’arciprete (Mons. Giovanni Croce) ha pronunciato qualche parola. Poi siamo partiti. L’hanno portata in spalla a turno, i soldati tornati dalla guerra, per ringraziamento. Di tanto in tanto si cambiavano, ma non per stanchezza: volevano permettere a tutti di aver l’onore di portare quell’immagine. Noi seguivamo dietro a piedi. La statua era stata ordinata dall’arciprete, Mons. Croce. Arrivati alla Chiesa il parroco ha fatto una piccola funzione. C’erano tante persone e tutti i combattenti, reduci dalla guerra del 1915 -1918.” “La strada era in buone condizioni ci si passava bene. A quei tempi non c’erano molte auto, solo carri e cavalli. I carri servivano a trasportare la merce, mentre le persone viaggiavano con le carrozze. La maggior parte, però, andava a piedi.” Giuseppe di guerre non ne ha fatte. Ricorda con apprensione, però, quel periodo: “Un affare serio, un affare serio che rimarrà nella storia. Io non ho letto la storia, ma sicuramente ne parleranno”. “A Leivi c’era molta gente, ma case poche. Poi hanno iniziato a costruire, hanno formato delle comunità, hanno fatto tutto. Allora non c’era nulla: l’acqua si prendeva con il secchio, il bagno non era in casa, si andava fuori, nella cucina si seccavano le castagne, si faceva il fuoco in mezzo alla cucina e si stava attorno per scaldarsi. Ora è cambiato tutto. E’ sempre vita, prima o adesso, in un modo o nell’altro, è sempre vita.”.Durante la guerra viveva al Bocco: la sua famiglia era composta dai genitori e da due figli maschi, lui e suo fratello. Ricorda che facevano dei lavoretti per avere in cambio cibo da mangiare: patate, farina. Andavano sul monte Anchetta a falciare l’erba, perché lì il fieno era migliore. Fu proprio durante una delle giornate trascorse sul “monte” che Geppun assistette al bombardamento su Zoagli. “Ho visto gli aerei arrivare da Santa Margherita Ligure; hanno sganciato alcune bombe anche lì. Poi si sono avvicinati a Zoagli. In un attimo si è vista una grossa nuvola di fumo che avvolgeva il monte. Zoagli non si vedeva più. Alcuni abitanti si sono salvati perché avevano la galleria (rifugio). Era sulla strada per andare a Rapallo. La città era distrutta”. Dopo un attimo di pausa la mente ritorna a Leivi, ai soldati partiti dal paese e non più tornati. Molti di loro hanno perso la vita in Russia. Giuseppe ricorda il racconto di un amico, Agostin di Picetti, tornato incolume dalla campagna russa. “Un giorno gli ho chiesto: ma cosa avete fatto in Russia? Lui mi ha raccontato che sono partiti, senza avere idea precisa di quale fosse la loro meta. Hanno marciato per giorni interi, seguendo gli ordini che venivano impartiti loro. Un giorno ricevettero l’ordine di fermarsi: erano sulle sponde del fiume Don. Qui hanno impiantato il loro accampamento. In quel periodo era caldo e si stava abbastanza bene (solo dal punto di vista climatico). Ricevevano un po’ di cibo con cui sfamarsi e gli scontri non erano cruenti. Poi è arrivato l’inverno. Il freddo mieteva una sacco di vittime. Una mattina, finalmente, un Ufficiale annunciò che potevano prendere ciò che volevano e tornare a casa”. “Ci sono stati soldati – fa notare Geppun – che non hanno raccolto nemmeno il fucile, e si sono messi in ritirata. Il cammino è stato lungo, sono passati per l’Austria e poi in Italia, ma alcuni non ce l’hanno fatta”. “La vita era come era – ripete Geppun – ma è pur sempre vita e così l’abbiamo vissuta. “Ora – conclude – speriamo che il Signore ci lasci ancora qualche giorno”.
Giuseppe Solari (1911 – 2010)