"Con te e per te vogliamo pregare perchè tu possa essere – per riprendere l’espressione del card. Martini – un prete «fuori dalle righe» e cioè perché tu possa essere – tento alcune declinazioni – icona del vero volto di Dio, ministro della Parola e dei Sacramenti, artefice di dialogo, tessitore di comunione, testimone di gioia, seminatore di speranza, amico dei poveri". E' un passaggio dell'omelia del vescovo Giampio Devasini durante la celebrazione eucaristica di ordinazione presbiterale di don Francesco Basso. Il sacerdote novello, originario di Rapallo, al termine ha rivolto parole di ringraziamento a tutti coloro che ne hanno seguito il percorso umano e spirituale. Di seguito il testo dell'omelia del vescovo Devasini.
Solennità di Pentecoste
Ordinazione presbiterale di don Francesco Basso
19 maggio 2024 – Chiesa Cattedrale
Cari fratelli e sorelle,
oggi celebriamo e quindi riviviamo il mistero della Pentecoste, compimento del mistero della Pasqua. Celebriamo e dunque diventa nostro il fuoco d'amore che lo Spirito santo ha fatto divampare nella Chiesa perché ardesse nel mondo intero; un fuoco che non si spegnerà mai; un fuoco che tiene acceso il noi il sogno di una Chiesa bella: mite e audace, fedele e creativa, gioiosa e coraggiosa. Una Chiesa unita in una comunione piena, senza incrinature e senza arroccamenti. Una Chiesa aperta sul mondo: immune dalla penosa sindrome dell’assedio, affrancata dalla frenetica smania di trionfi spettacolari e di eclatanti trofei. Affermava il card. Martini nella sua ultima intervista pubblicata dal Corriere della sera il 1 settembre 2012: «Padre Karl Rahner usava volentieri l'immagine della brace che si nasconde sotto la cenere. Io vedo nella Chiesa di oggi così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza. Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell'amore? Per prima cosa dobbiamo ricercare questa brace. Dove sono le singole persone piene di generosità come il buon samaritano? Che hanno fede come il centurione romano? Che sono entusiaste come Giovanni Battista? Che osano il nuovo come Paolo? Che sono fedeli come Maria di Magdala? Io consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo Spirito possa diffondersi ovunque».
Caro Francesco, tra poco, per la preghiera consacratoria e l’imposizione delle mani di un povero vescovo, lo Spirito santo ti farà dono del ministero presbiterale, ti abiliterà a dare forma visibile alla presenza invisibile di Gesù, il bel/buon Pastore che ha donato la sua vita per amore. Con te e per te vogliamo pregare perchè tu possa essere – per riprendere l’espressione del card. Martini – un prete «fuori dalle righe» e cioè perché tu possa essere – tento alcune declinazioni – icona del vero volto di Dio, ministro della Parola e dei Sacramenti, artefice di dialogo, tessitore di comunione, testimone di gioia, seminatore di speranza, amico dei poveri.
Icona del vero volto di Dio. Il volto di Dio che Gesù ci ha narrato non è quello di un tiranno implacabile, di un giudice inflessibile, di un irriducibile guastafeste. Il volto di Dio che Gesù ci ha narrato è quello di un Dio esclusivamente buono; è quello di un Dio tenero, vicino, compassionevole; è quello di un Dio che non si merita ma che si accoglie: è quello di un Dio che non esclude nessuno dal suo amore; è quello di un Dio che non aspetta che diventiamo buoni per amarci ma che ci ama, perché, sperimentando il suo amore, possiamo diventare migliori e cioè possiamo smetterla di pensare unicamente a noi stessi per cominciare a prenderci cura anche degli altri e così realizzare la nostra vera identità: siamo esseri fatti per amare ed essere amati.
Ministro della Parola e dei Sacramenti. Ministro e cioè servo e non padrone. È la Parola ascoltata e praticata che ci rende discepoli. È la Parola ascoltata e praticata che genera la comunità cristiana e la genera non come dogana che seleziona ma come casa dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa, e la genera con come prigione cioè come luogo che trattiene dal cammino ma come principio di missione. I Sacramenti. Per chi sono i Sacramenti?Portiamo i Sacramenti agli uomini e alle donne che necessitano una nuova forza? E penso alle situazioni cd irregolari: queste situazioni le dobbiamo inquadrare mettendo al centro la logica di Cristo e cioè la logica di un amore gratuito ed immeritato, elargito a tutti i figli di Dio non in ragione dei loro meriti, ma del bisogno di ciascuno di essere amato e accolto così com’è, senza condizioni. I Sacramenti, in particolare l’Eucaristia, non sono un premio per i buoni, per i perfetti, per i santi, per chi si comporta bene, ma semmai una medicina per i deboli, per i fragili: quei deboli, quei fragili che siamo tutti noi, bisognosi di sperimentare continuamente l’amore perdonante e rigenerante di Dio. Una cosa è certa: «Nessuno può essere condannato per sempre,» qualsiasi sia la situazione in cui si trova, «perché questa non è la logica del Vangelo!» (Papa Francesco, Amorislaetitia, 297). Oggi la Chiesa è chiamata ad abbandonare ogni rigidità dottrinale per assumere una makrothymía, quella grandezza di cuore che le consente di coniugare con sapienza le esigenze del Vangelo e le concrete situazioni delle persone. Caro Francesco, sii sempre facilitatore e mai controllore della Grazia.
Artefice di dialogo. L’arte dell’ascolto è di vitale importanza per ogni battezzato. Ascolto dello Spirito che parla attraverso la Scrittura e la Tradizione vivente della Chiesa ma anche attraverso le sfide e i cambiamenti che il mondo ci mette davanti (i cd segni dei tempi) così come attraverso il fratello e la sorella che incontriamo nel cammino della vita: sì, ascoltiamo lo Spirito ascoltandoci. Ascoltare l’altro è lasciarsi interpellare, lasciarsi toccare dalle sue gioie e dalle sue sofferenze, dalle sue inquietudini e dalla sua rabbia, dalle sue speranze e dalle sue delusioni, dalle sue domande e dai suoi silenzi. Se l’ascolto è privo di formalismi e infingimenti, se è fatto con il cuore e non solo con le orecchie, se non veicola il giudizio ma l’accoglienza lasciando così l’altro libero di essere se stesso allora l’ascolto ci cambia e spesso ci suggerisce vie nuove che non pensavamo di percorrere. Prendiamo sul serio le persone della porta accanto, quelle affaticate da una quotidianità che costantemente ci rincorre, forse con pochi titoli ma con tanta vita da raccontare e da condividere. E mi sovviene una domanda: cosa dovrebbe fare la Chiesa per poter essere meglio accolta nell’attuale congiuntura culturale? Forse una cosa tanto semplice quanto, so bene, faticosa: mostrare la sua fragilità. A volte la Chiesa dà l’impressione di non aver bisogno di nulla e che gli uomini non abbiano nulla da dirle. Fughiamo questa impressione e impegniamoci, guidati dallo Spirito, a generare una Chiesa che si metta al livello dell’uomo senza nascondere che è fragile, che non sa tutto e che anch’essa si pone degli interrogativi.
Tessitore di comunione. Comunione con Dio, con il vescovo, con i confratelli, con il santo popolo fedele di Dio. A proposito della comunione tra presbiteri, mi permetto, caro Francesco, di ricordarti quanto ho detto in occasione della Messa del Crisma di quest’anno e cioè che non siamo «istituiti nell’ordine presbiterale ed episcopale per realizzare un nostro personale progetto, quale che esso sia. Anche il prete più geniale – non dico profetico perché sarebbe un abuso del termine – se non appartiene a un presbiterio e a una Chiesa locale potrà forse fare cose mirabolanti ma quando se ne sarà andato (prima o poi si parte) non rimarrà che la nostalgia dei suoi se-ducenti fuochi d’artificio ma non avrà scritto nella vita delle persone il volto di Cristo. Non si può essere preti da soli, non si può essere testimoni della misericordia in proprio…“La Chiesa non è mia, non è nostra, ma è del Signore” (Benedetto XVI, ultima udienza generale in piazza S. Pietro)….essere prete ed esserlo da soli è una contraddizione in termini. Ne va della testimonianza della misericordia, che è il volto della comunione e della tenerezza».
Testimone di gioia. La gioia cristiana e cioè la pace del cuore è uno dei frutti che produce l’accoglienza in noi dello Spirito santo (cfrGal5, 22) e consiste nella tensione tra la memoria di ciò che Gesù ha fatto per noi – dare la vita, rigenerarci – e la speranza di poter un giorno sperimentare la comunione piena e definitiva con lui. E tu sai bene, caro Francesco, che non si può dare quello che non si ha. E tu sai bene, caro Francesco, che il segreto della tua gioia lo troverai nella instancabile esposizione al roveto ardente dell’amicizia con il dolcissimo Signore della nostra vita. Un cristiano non gioioso non è un buon cristiano; un prete non gioioso non è un buon prete.
Seminatore di speranza.Lo Spirito santo ci aiuta a custodire la speranza in un Dio che si prende cura di noi e mai ci abbandona. Lo Spirito santo ci aiuta a tenere viva la fiducia nella promessa di Cristo Gesù, il Crocifisso-Risorto: anche noi risorgeremo!; attenzione però: la buona notizia della nostra risurrezione non deve distoglierci dai compiti di quaggiù; la buona notizia della nostra risurrezione è una chiamata a metterci in cammino: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?...Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura…Voi mi sarete testimoni…fino agli estremi confini della terra (At 1,11; Mc 16, 15; At 1, 8)». Lo Spirito santo infine ci aiuta ad essere seminatori di speranza, ci aiuta ad essere anche noi – come Lui e grazie a Lui – dei “paracliti”, cioè consolatori e difensori dei fratelli.
Amico dei poveri. Sì, sono soprattutto i poveri, gli esclusi, i non amati ad avere bisogno di qualcuno che si faccia per loro “paraclito”, cioè consolatore e difensore, come lo Spirito Santo fa con ognuno di noi. Se ci facciamo consolatori e difensori dei poveri, i poveri ci evangelizzano perché ci permettono di cogliere in modo sempre nuovo i tratti più genuini del volto del Padre che è nei cieli. Se ci facciamo difensori e consolatori dei poveri, vediamo di persona Gesù e lo tocchiamo con mano: sì, i poveri sono sacramento di Cristo, rappresentano la sua persona e rinviano a Lui. E mi sovvengono le famose parole di don Primo Mazzolari («La tromba dello Spirito santo nella Bassa padana» così lo definì papa Giovanni), pubblicate su Adesso nell’aprile 1949: «Vorrei pregarvi di non chiedermi se ci sono dei poveri, chi sono e quanti sono, perché temo che simili domande rappresentino una distrazione o il pretesto per scantonare da una precisa indicazione della coscienza e del cuore. Io non li ho mai contati i poveri, perché non si possono contare: i poveri si abbracciano, non si contano».
Cari fratelli e sorelle, mi sto dilungando troppo, lo so, e allora concludo. Lo faccio con una preghiera composta da don Tonino Bello, eccola:
«Spirito del Signore, dono del Risorto agli apostoli del cenacolo,
gonfia di passione la vita dei tuoi presbiteri.
Riempi di amicizie discrete la loro solitudine.
Rendili innamorati della terra, e capaci di misericordia per tutte le sue debolezze.
Confortali con la gratitudine della gente e con l’olio della comunione fraterna.
Ristora la loro stanchezza, perché non trovino appoggio più dolce per il loro riposo se non sulla spalla del Maestro.
Liberali dalla paura di non farcela più.
Dai loro occhi partano inviti a sovrumane trasparenze.
Dal loro cuore si sprigioni audacia mista a tenerezza.
Dalle loro mani grondi il crisma su tutto ciò che accarezzano.
Fa’ risplendere di gioia i loro corpi.
Rivestili di abiti nuziali. E cingili con cinture di luce.
Perché, per essi e per tutti, lo sposo non tarderà. Amen.».